Nell’ultimo decennio una serie di ricerche ha messo in luce come l’esposizione a eventi stressanti, definiti stressors, influisca sul benessere psicologico dei cooperanti. In uno studio del 2018 condotto su un campione di 277 operatori umanitari, facenti parte di quarantacinque organizzazioni impegnate in diversi progetti nel Sud Sudan, si è riscontrata una preoccupante prevalenza di:
- Depressione (39%);
- Ansia (38%);
- Dipendenza da Alcol (35%);
- Disturbo post Traumatico da Stress (24%).
Lo studio è stato condotto prendendo in considerazione sia personale locale sia espatriato. Tra i due gruppi la principale differenza ha riguardato il consumo smodato di alcol che risulta essere maggiormente diffuso tra il personale internazionale (se si considera la popolazione maschile la percentuale sale al 50%). È bene precisare che i risultati di altri studi simili, hanno mostrato la presenza degli stessi disturbi (Depressione, Ansia, PTSD) ma in percentuale variabile a seconda del particolare contesto geografico e storico-politico. Questo studio ha il merito di essersi soffermato sull’utilizzo problematico di alcol come strategia di gestione dello stress.
Esempio di strategie di coping nelle situazioni di stress lavorativo:
“Ne parlo con Giulio, si trovava nella stessa situazione!”
“Bevo così non ci penso!”
Strategie di coping e Resilienza
Le strategie di coping sono quell’insieme di attività mentali o comportamentali che si mettono in atto per fronteggiare situazioni che richiedono un dispendioso impiego di risorse personali. Queste possono essere efficaci o inefficaci. Nel caso citato dell’utilizzo smodato di alcol si parla di strategia di coping inefficace poiché è risultata correlata a maggiori punteggi di depressione, ansia e esaurimento emotivo. Utilizzare strategie inefficaci, inoltre, abbassa le nostre capacità di Resilienza, ossia la capacita di far fronte in maniera positiva a eventi difficili, stressanti, traumatici.
Perché è importante parlarne?
Perché sia gli operatori sia le organizzazioni invianti hanno margini d’intervento a riguardo.
Quali sono le cause di stress a cui un Cooperante deve far fronte? Stressor e strategie di coping efficaci e non efficaci.
È interessante rilevare che se in situazioni estreme, come nello studio condotto in Sud Sudan, gli stressor principali avevano a che fare con la sicurezza personale e l’instabilità politica del Paese, di recente è stata pubblicata una ricerca qualitativa sugli stressor che parte dalle considerazioni personali di Cooperanti operanti in sessantatré differenti paesi, e il panorama cambia completamente. La prima causa di stress individuata è il lavoro, al secondo posto troviamo stress dipendente da cause psicologiche, al terzo lo stile di vita e infine l’isolamento sociale. Analizziamo più nel dettaglio le voci prevalenti per ogni categorie di stressor:
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Stressor correlati al lavoro
Lavorare con colleghi che mancano di competenze, poco motivati o altamente competitivi risulta essere un fattore fortemente disturbante, così come lo è aver a che fare con un management poco supportivo, responsivo e che manchi di chiarezza nella strutturazione del lavoro. A livello organizzativo risulta controproducente sovraccaricare in modo irrealistico gli operatori e anche la mancanza di una pianificazione o di strategie da seguire. È vissuto inoltre come frustrante doversi ritrovare a spendere parte del budget “senza senso” per mandato. Anche le condizioni di lavoro in termini contrattuali fanno parte delle cause che influiscono sullo stress cronico. Le donne, inoltre, indicano nelle condizioni lavorative stressanti dover lavorare in ambienti fortemente sessisti.
WORK STRESSORS
Strategie efficaci:
-Organizzare il proprio lavoro, mantenendo ritmi sostenibili
-Prendersi dei momenti di pausa, staccando completamente dal lavoro
-Migliorare le proprie abilità di pianificazione e problem solving
-Non accettare di lavorare a qualsiasi prezzo
-Lasciare il lavoro quando l’impatto sul proprio benessere non è più tollerabile e i tentativi di negoziazione con l’organizzazione sono falliti
Strategie non efficaci:
-Lavorare fino a diventare improduttivi
-Non staccare mai (ad esempio tornare a casa e continuare a controllare se siano arrivate email )
-Procrastinare il lavoro
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Stressor correlati alla sofferenza psicologica
Perseguire obiettivi di lavoro in contrasto con gli ideali personali, vedere soffrire delle persone e avere la sensazione di non essere capaci di aiutarli, dubbi riguardo all’impatto degli aiuti forniti, sentire che il proprio lavoro ha un effetto irrilevante. Inoltre, parte delle risposte che rientrano in questa categoria riguarda la poca chiarezza del sistema di aiuti in generale. In altre patole, i Cooperanti intervistati riferiscono che il lavoro svolto non sempre è incentrato sui reali bisogni dei beneficiari ma piuttosto su necessità burocratiche o strategie di potere.
SOFFERENZA PSICOLOGICA
Strategie efficaci:
-Essere consapevoli di sè stessi
-Curare il proprio benessere mentale
-Accettare che il proprio margine di azione sia limitato
-Prendersi del tempo per accettare i risultati positivi raggiunti
-Rilassarsi
-Meditare
-Dedicare del tempo alla propria spiritualità
Strategie non efficaci:
-Lasciarsi andare ad esplosioni di rabbia
-Sprofondare nel pianto ininterrotto
-Negare l'esistenza di un problema
-Rimuginare costantemente su situazioni negative
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Stressor correlati allo stile di vita
Benessere fisico, insicurezza personale, eventi traumatici, restrizioni personali per motivi di sicurezza (ad ES: rispettare il coprifuoco o non potersi recare in alcuni luoghi) inaccessibilità ad attività che possano mitigare lo stress al termine dell’orario di lavoro e difficoltà a reperire alcuni tipi di beni.
STILE DI VITA: Strategie efficaci:- Bilanciare vita privata e lavoro
- Curarsi della propria salute fisica
- Praticare attività
- Mantenere abitudini alimentari sane
- Dormire a sufficienza
Strategia non efficaci:
- Uso smodato di alcolici
- Sacrificare ore di sonno per lavorare
- Mangiare male
- Sottovalutare il malessere fisico
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Stressor correlati all’isolamento sociale
La mancanza di connessioni sociali, la lontananza dagli affetti familiari e dalla rete di amicizie. Diffuso sentimento di solitudine.
A livello più generale, cos’altro può fare il cooperante?
- Riconoscere ed esprimere sia le proprie capacità sia i propri limiti
- Condivisione di esperienze e sentimenti
- Mantenere una disposizione personale incline al miglioramento
Altri dati emersi dalla ricerca su cui vale la pena soffermarsi:
- In termini di stress percepito sembrerebbe che non vi siano differenze significative tra chi lavora come cooperante nell’assistenza umanitaria e chi invece si occupa di progetti di sviluppo
- Una ricerca ha rilevato che lavorare a contatto diretto con i beneficiari risulti essere, contrariamente alle attese dei ricercatori, un fattore protettivo
- Tra operatori Nazionali e Internazionali, questi ultimi hanno riportato livelli più alti di stress
Cosa può fare l’organizzazione?
È bene che le organizzazioni riconoscano che la maggior parte degli operatori vede come principale fonte di stress l’organizzazione stessa affermando che il supporto fornito sia inefficace. Per quanto concerne il carico di lavoro si potrebbe attuare una pianificazione dello stesso che ridefinisca e chiarifichi i ruoli lavorativi (chi deve fare cosa). Personale aggiuntivo e miglioramento del supporto organizzativo sono oggettivamente costosi, ma in ottica lungimirante le conseguenze di uno stress lavorativo cronico, quali perdita dell’efficacia d’intervento e turnover, potrebbero portare a una perdita anche maggiore.
Formazione e network
È opportuno inoltre garantire una formazioni continua ed efficace rispetto i ruoli che gli operatori ricoprono all’interno dei progetti su campo. L’organizzazione potrebbe inoltre pensare alla creazione di un network tra Cooperanti avvantaggiando lo scambio di buone pratiche e permettendo un inter-scambio utile sia a livello professionale sia personale. Un ulteriore passo è quello di riconoscere i bisogni sociali ed emotivi degli operatori e pianificare in anticipo periodici rientri pel personale espatriato.
Supporto psicologico
In conclusione, si potrebbe proporre un supporto psicologico specifico per gli operatori che prenda in considerazione stressors, possibili strategie di coping da attuare e che miri a rafforzare la resilienza degli operatori è auspicabile. Questo intervento si potrebbe articolare, ad esempio, in tre frasi:
- Pre partenza
- Supporto durante l’andamento del progetto
- Incontro di debriefing a conclusione del progetto
Si sconsiglia di riproporre un modello standard, ogni intervento dovrebbe essere costruito tenendo conto delle peculiarità dell’operatore coinvolto, della tipologia di progetto in cui è inserito e del contesto in cui esso si svolgerà.
Bibliografia
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Ciao Giovanna, grazie per questo utilissimo articolo che effettivamente ho testato nelle mie esperienze umanitarie. Sul campo è sicuramente importante il briefing e il confronto costante con gli altri colleghi condividendo le proprie sensazioni al momento. Il ritorno fuori dalla missione e il senso di solitudine (culturale) sono sicuramente i mood di maggiore impatto e di shock culturale, paradossalmente sei nella tua confort zone ma non sempre puoi parlare della missione e dei suoi tratti peculiari.
Ciao Chiara, grazie a te per aver condiviso le tue sensazioni. Ti auguro buona continuazione e se ti venissero in mente altre riflessioni che possano essermi utili per i prossimi articoli, scrivimi pure su: Minniti.psi@gmail.com
[…] Quanto al benessere psicologico dei cooperanti? C’è un bell’articolo qui. […]
Articolo interessante, non tanto per il contenuto che è comunque di qualità, ma per la materia che è poco affrontata. Si crede spesso che cooperanti e operatori umanitari siano dei super uomini o che lo stipendio alto e la possibilità di viaggiare bastino a compensare le cause di forte stress che il nostro lavoro ci presenta. Brava per aver messo in luce i maggiori problemi con cui abbiamo a che fare!
La ringrazio