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Migranti e salute mentale: “Decreto Sicurezza”, sicuro per chi?

In questo articolo parleremo delle condizioni di salute (mentali e fisiche) dei migranti e di come le politiche messe in atto possano avere conseguenze su di esse.

Quali sono le dimensioni mondiali del fenomeno migratorio e quanto l’Italia ne è realmente coinvolta?

 

Migrazioni, le reali dimensioni del fenomeno 

In molti Paesi i cambiamenti climatici, i conflitti a fuoco, l’instabilità politica protratta, e la violazione sistematica dei diritti umani costringono milioni di persone a fuggire. Secondo i dati dell’UNHCR le persone in fuga nel mondo sono circa 70 milioni; la maggioranza di questi (più di 40 milioni) è formata da sfollati interni, ossia da persone che fuggono restando comunque all’interno dei confini del proprio paese. Dei 30 milioni rimanenti, l’80% sceglie di rifugiarsi in paesi limitrofi al proprio. La percentuale di persone che raggiunge l’Europa, in rapporto al numero totale, è esigua.

 

Stanno davvero venendo tutti in Italia? 

Leggendo le statistiche pubblicate sul sito del Ministero dell’Interno italiano si evince che nel 2018 sono sbarcate 19 mila persone in Italia e nel 2019 poco più di 4 mila. In percentuale quest’anno è quindi arrivato sulle coste italiane lo 0,0000006% delle persone totali in fuga. Da questa percentuale bisogna poi sottrarre i migranti che sono solo in transito e quelli che vengono trasferiti poco dopo lo sbarco nei Centri Permanenza per Rimpatri (CPR).

 

Quante di queste persone ricevono dunque realmente accoglienza in Italia?

Poche, pochissime. Basti pensare che, come lo stesso Ministro dell’Interno ha dichiarato, delle domande di richiesta di asilo esaminate in Italia tra il 2014 e il 2019, solo il 7% è sfociata nel rilascio dello status di protezione internazionale e che, come previsto dal Decreto Sicurezza emanato dal nostro Governo, solo chi ha ricevuto tale status potrà essere accolto negli SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). Chi ha precedentemente ricevuto il Permesso Umanitario, abolito con il decreto sicurezza, pur trovandosi regolarmente in Italia, non ha più diritto all’accoglienza in un centro. 

Gli irregolari presenti su territorio italiano continuano ad aumentare. L’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ha stimato che da inizio 2018 a metà 2019 ci sia stato un incremento del numero degli irregolari nel Paese, passando da 533 mila unità a 610 mila. Viene da chiedersi come realmente il Decreto Sicurezza stia rendendo più sicure le strade italiane.

 

Quali alternative se non l’accoglienza? 

A seguito dei tagli effettuati sull’accoglienza e dunque al personale e alle attività che avrebbero reso possibile un’integrazione dei migranti nel nostro paese, il governo ha puntato tutto sul respingimento degli irregolari.

 

Respingimento degli irregolari 

Si è recentemente stimato che a un ritmo di circa 6.500/7 mila rimpatri ogni anno (dato ottimistico perché superiore ai rimpatri avvenuti nell’anno corrente), servirebbero tra gli 80 e i 90 anni per riportare nei Paesi di origine i circa 550 mila/610 mila irregolari presenti oggi in Italia. È intuitivo immaginare che un’azione repressiva di questa portata non ha i numeri per poter funzionare.

 

Aiutiamoli a casa loro… 

È uno slogan usato solo a fini propagandistici, i finanziamenti per sostenere progetti di sviluppo nei Paesi più poveri sono in realtà stati ridotti.

 

Quali sono le condizioni fisiche e psichiche dei migranti che arrivano in Italia? 

La percentuale di migranti che arrivano in stato di salute fisica compromesso, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è compresa tra il 2 e il 5%. Principalmente si tratta di patologie a carico dell’apparato cardiocircolatorio, a ferite e incidenti riscontrati durante il viaggio migratorio e allo stato di gravidanza delle donne stuprate durante la loro prigionia. Da uno studio condotto da Medici Senza Frontiere i migranti che mostrano invece problematiche di salute mentale si attesta intorno al 60%. I disturbi mentali maggiormente identificati sono stati:

È possibile classificare i fattori di rischio per la salute mentale dei migranti distinguendo le diverse fasi del percorso migratorio: 

  1. fase pre-migratoria; 
  2. fase migratoria in senso stretto; 
  3. fase post-migratoria.

 

  1. La fase pre-migratoria

In questa fase le condizioni stressanti corrispondono sostanzialmente alle motivazioni che hanno spinto la persona a migrare: guerra, forte instabilità geopolitica, persecuzioni e violenze estreme. 

 

Gli stupri, i sequestri di bambini e i traumi psicologici sono drammi quotidiani – riferisce il chirurgo Mahmat Hassan –. Pochi giorni fa abbiamo ricoverato una bambina che ha visto sgozzato suo padre davanti ai suoi occhi. Poi è stata stuprata dai miliziani islamisti e ha contratto l’HIV. Ha ingerito un chiodo di 12 centimetri per suicidarsi. L’ho operata e adesso è sotto trattamento. Questa è la nostra quotidianità. Vi è chiaro?».  

 

Queste condizioni sono accomunate dal mancato rispetto dei diritti umani e spesso associate a povertà e fame. La povertà e la fame, per quanto estreme possano essere, non sono considerati fattori sufficienti al riconoscimento della protezione internazionale. 

 

Pazienti giacciono dappertutto: nelle camerate affollate e nei corridoi, alcuni in cortile e altri per terra tra la polvere e la sabbia. I letti sono tutti occupati, il caldo è insopportabile e anche gli strumenti basilari per far fronte all’emergenza non ci sono. Una donna assiste la figlia divorata dalla malattia facendole aria con un ventaglio di paglia; due fratelli, Mbokoiy e Chari Aumi, torturati dai soldati ciadiani per una settimana perché sospetti terroristi, sono distesi per terra tra le mosche. Chari, il più grande, ha le braccia in necrosi; Mbokoiy al posto del braccio ha un moncherino infetto, avvolto da uno sciame di mosche e di larve

 

Testimonianze estratte da “Reportage dal Lago Ciad, epicentro di una catastrofica crisi umanitaria”, 19 agosto 2019.

 

  1. La fase del viaggio migratorio

In molti casi questa fase si protrae per anni, ed è composta da diverse tappe intermedie differenti rispetto alla destinazione finale voluta. Fattori di stress sono: la lontananza dai propri familiari, la durata e le condizioni del viaggio, le carcerazioni.  

 

Nour ha disegnato su un foglio di carta le celle e le quattro porte blindate. Celle separate per uomini e donne. E ha raccontato di come ogni sera le donne venivano prese e portate nella cella dopo la terza porta blindata. Quattro uomini ogni donna. Quattro miliziani libici per ogni prigioniera somala, o eritrea. E ogni sera venivano violentate e stuprate ripetutamente. Da quattro sconosciuti. Ogni sera. Per più di un anno. E quando una di loro rimaneva incinta veniva portata nello stesso posto e presa a calci. Fino all’aborto e oltre. Fino a quando il feto non veniva fuori dal corpo della donna”.

 

Testimonianza estratta da “Cosa succede di notte nelle celle di un campo di detenzione in Libia. Un racconto”.

 

3. La fase post-migratoria

I principali fattori di rischio sono legati a situazioni di forte incertezza sul futuro e di marcata precarietà sociale: mancanza di occupazione e reddito; situazioni abitative inesistenti, sovraffollate, poco igieniche; spostamento da un centro di accoglienza all’altro con interruzione dei progetti avviati e delle relazioni instaurate; difficoltà comunicative; difficoltà burocratiche e nell’ottenimento di documenti che permetterebbero di ricominciare la propria vita. Tutti questi fattori espongono la persona al rischio di ritraumatizzazione.

 

“Quando gli operatori di Auxilium mi hanno spiegato che avevano ricevuto una comunicazione da parte della prefettura che imponeva loro di far salire sui pullman un certo numero di persone, senza che fosse stato spiegato né dove fossero dirette, né in che tipo di centri, senza che fossero valutate caso per caso le storie di queste persone, lì mi sono arrabbiata e ho bloccato il pullman e ho chiesto che almeno questi tre pullman fossero informati sulla destinazione.”

 

Testimonianza estratta da “Migranti e il Cara di Castelnuovo: le criticità del centro, il decreto sicurezza, la situazione dei bambini e delle vittime di tortura”.

 

 

Percorsi psicologici e accoglienza 

Sono molte le evidenze scientifiche che mostrano un aumento del rischio di disturbi mentali tra migranti forzati e richiedenti asilo. Tuttavia, nonostante questo la figura dello psicologo è prevista raramente all’interno dei centri di accoglienza, che sempre più vengono concepiti come meri erogatori di cibo e sorveglianza.

 

“In presenza di persone problematiche o con sintomatologie disturbanti la sola cosa che la Prefettura fa è prendere la persona e trasferirla da un centro all’altro.”

Operatore Sociale intervistato da MSF

 

Tutto è lasciato alla discrezionalità dell’ente gestore e la collaborazione con i servizi territoriali non è garantita. Nei servizi territoriali inoltre mancano psicologi che siano formati sui temi della migrazione. Inesistenti sono le misure finanziarie che possano permettere l’assunzione di personale formato e assicurare stabilità ai professionisti che da molti anni si dedicano al trattamento psicologico dei migranti a titolo volontario o affidandosi a fondi di progetti saltuari e non continuativi.

 

Una questione di etica ma anche di logica 

Una situazione frustrante per tutti, migranti e professionisti della salute mentale, peggiorata dalle recenti misure di “sicurezza” che prevedono la fuoriuscita dei migranti dai sistemi di accoglienza, perché richiedenti di protezione internazionale (ma ancora non titolari), per trasferimenti improvvisi o perché fino a quel momento accolti per aver ricevuto un permesso umanitario. A perdersi tra le trame di questa “sicurezza” sono le persone più vulnerabili che una volta rimaste in strada, senza le attenzioni degli operatori dei centri di accoglienza, smettono di recarsi alle sedute per ultimare un percorso di guarigione che gli permetterebbe di riappropriarsi della propria vita. Queste persone finiscono dunque per perdere ogni punto di riferimento, speranza per il futuro e fiducia nel prossimo. Una condizione che non può che non farci chiedere per chi un decreto sicurezza, pensato in questa maniera, può realmente essere sicuro. 

 

Bibliografia 

Agenzia Frontex. Leggi QUI

AGI. Leggi QUI

Altraeconomia. Leggi QUI

ANCI, Caritas italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, Servizio centrale dello SPRAR, in collaborazione con UNHCR. Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2016. Leggi QUI 

Marceca, M., Battilomo, S., Russo, G., Massetti, A. P., Mastroianni, C. M., Villari, P., … & Saso, L. (2019). Migrants’ Health Protection: Socio-health and Legal Situation of Asylum Seekers and Refugees in Italy. In Refugee Migration and Health(pp. 135-148). Springer, Cham. Leggi QUI

Ministero dell’Interno. Leggi QUI

Ministero della Salute (2017). Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale. Leggi QUI

Rapporto Medici Senza Frontiere. Leggi QUI

UNHCR- The UN Refugee Agency. Leggi QUI

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Giovanna Minniti

Psicologa e Psicoanalista relazionale in formazione presso la scuola SIPRe di Milano. Mi occupo di: counseling, supporto psicologico, percorsi terapeutici. Sono inoltre formata nell'utilizzo della NET (Narrative ExposureTherapy): una tecnica a breve termine per il trattamento di Disturbi da Stress Traumatico. Ricevo su appuntamento in via Carlo Botta 25, Milano (fermata metro Porta Romana). Valuto la possibilità di svolgere colloqui via Skype per chi vive o lavora all'estero. Per informazioni scrivetemi a: minniti.psi@gmail.com
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